Riduzionismo identitario: cos'è?
Definizione di riduzionismo identitario
Il riduzionismo identitario può essere definito come quella tendenza che conduce a ridurre una persona a una sola delle sue caratteristiche - che sia il genere, l'orientamento, la provenienza, o qualsiasi altro tratto - cancellando tutta la complessità e la pluralità che ogni individuo porta con sé.
La caratteristica che funge da oggetto del riduzionismo identitario è quella per cui la persona subisce spesso discriminazione: ad esempio, una persona che si muove su sedia a rotelle può tendere ad essere ridotta alla sua sola disabilità, mentre una persona con background migratorio può tendere ad essere ridotta alla sua provenienza, e così via.
Il riduzionismo identitario è una forma di discriminazione che viene portata avanti - talvolta in modo conscio, ma più spesso incosapevolmente - attraverso l'utilizzo di microaggressioni: ad esempio, se una persona ha fatto coming out pubblicamente dichiarandosi omosessuale, si potrà tendere a parlare di quella persona e con quella persona solo della sua omosessualità, come se fosse l'unico argomento di conversazione possibile e come se quella persona, oltre che essere omosessuale, non fosse nient'altro.
Provenienza del concetto di riduzionismo identitario
Il tema del riduzionismo identitario si può trovare negli studi post-coloniali. Ad esempio, Said nel 1978 esplicita come le culture orientali siano state ridotte a stereotipi semplificati dall'Occidente; mentre Spivak nel 1988 parla di come i subalterni, descritti come i soggetti colonializzati e marginalizzati, vengano descritti dalle parole del loro colonizzatore, che li riduce a ruoli fissi e prestabiliti, di fatto privandoli della loro voce.
In sociologia e in psicologia sociale, già dal 1963 autori come Goffman analizzano come alcune identità sociali vengano "essenzializzate", diventando la lente unica attraverso cui viene vista una persona. Successivamente la psicologia sociale, con gli studi di Tajfel e Turner del 1979, ha mostrato anche come i processi di categorizzazione sociale favoriscano il riduzionismo identitario, specialmente quando si tratta il tema della discriminazione.
In seguito, gli studi di genere hanno incluso il riduzionismo identitario all'interno delle cause di discriminazione. In particolare l'autrice Kimberlé Crenshaw, introducendo nel 1989 il concetto di intersezionalità, sottolinea la necessità di adottare una visione multifattoriale dell'essere umano, che consenta di guardare alla sua identità come ad insieme omogeneo di più fattori (genere, etnia, classe sociale, eccetera) e non come una somma di caratteristiche separate che funzionano a compartimenti stagni.
Perché il riduzionismo identitario è dannoso?
Il riduzionismo identitario è dannoso perché, riducendo le persone a categorie statiche, si appiattisce la complessità che le caratterizza come esseri umani, eliminando elementi essenziali che definiscono le loro esistenze e i loro percorsi di vita. Ridurre una persona ad una sola delle sue caratteristiche fa sì che vada perduta la possibilità di comprenderla nella sua complessità e di conoscerla veramente, legandola, invece, a stereotipi e pregiudizi che non solo sono spesso fallaci, ma perpetuando anche dinamiche di potere che hanno, storicamente, ridotto alla iper-semplificazione della complessità che caratterizza ogni essere umano, comportando la patologizzazione delle differenze tra le persone per renderle più facilmente categorizzabili e, di conseguenza, controllabili.
Come evitare il riduzionismo identitario?
Per evitare di ricadere in comportamenti ascrivibili al riduzionismo identitario, che spesso sfociano in microaggressioni, è essenziale interrogarsi costantemente su come basiamo la narrazione non solo delle le identità delle altre persone, ma anche di noi stessə. Possiamo iniziare ad allenarci a sospendere il bisogno di semplificazione, accettando che ogni identità sia composta da una molteplicità di sfaccettature, privilegiando la curiosità di scoprirle e comprenderle, piuttosto che assecondare la tendenza a ritenere di conoscere una persona da alcune sue caratteristiche... e possiamo iniziare a fare questo lavoro partendo direttamente da noi, senza soffermarci sulle nostre peculiarità più evidenti che, spesso, sono soltanto superficiali.
In questo modo sarà possibile restituire complessità alle identità delle persone, mettendo in pratica non solo un atto non politico, ma anche una forma di cura, riconoscendo che ogni persona è molto di più delle parole usate per descriverla.